Rosa
Rosa ha 17 anni, è una ragazza sensibile, fin da bambina si sente “diversa”, ha un carattere introverso e fatica a comunicare con i suoi coetanei, quando arriva al liceo, anche a causa del lockdown la sua situazione si aggrava e si chiude in casa, giorni, mesi, anni, in una sorta di autoisolamento dal quale fatica ad uscire, nonostante il sostegno della famiglia e della scuola.
Con il passare del tempo e con il supporto della famiglia, riesce a non perdere gli anni di studio ma peggiorano le sue condizioni di salute mentale fino ad arrivare alla recente diagnosi di ADHD e di disturbo dell’umore. La sua ansia sociale la porta a uscire raramente di casa, se non per andare alle visite mediche o a svolgere piccole mansioni in giro per il suo quartiere. Il suo sogno sarebbe andare a Londra con la sua migliore amica al compimento del suo diciottesimo anno di età.
Dare un nome alle cose
Rosa vede in sè stessa e nei suoi coetanei un malessere antico, quel “male oscuro” che da sempre affligge l’uomo, ma vede che la sua generazione è venuta allo scoperto e sta dando un “nome alle cose” senza infingimenti e senza menzogne.
Aprirsi al confronto
Rosa, come un fiore spezzato, riesce a parlare solo chi come lei si sente di aver subito un danno, una ferita, solo attraverso la cifra del dolore e della sofferenza per lei si aprono le porte della comprensione.