Emanuele

Emanuele ha 19 anni e vive vicino Milano. La prima volta che è entrato in una sala gioco aveva appena 17 anni, un grande amore per il calcio e la voglia di passare il tempo con gli amici, di ammazzare il tempo per tamponare i momenti di noia tra scuola, lavoro e sport. Dalla prima schedina da 5 euro allo sviluppare una dipendenza dal gioco d’azzardo, il passo è stato breve. Emanuele, in un crescendo costante, parla di numeri, di soldi, di scommesse, del suo amore per il calcio, spiega nel dettaglio ogni vincita e ogni perdita, sempre più ingente. Parla di tutti i sentimenti che lo attraversano: la noia prima di tutto, il terrore del non fare, l’assenza di stimoli continui come una non vita che si trasforma nella ricerca dell’adrenalina, del brivido delle vincite e dei sudori freddi delle perdite.

Un’alternanza costante e continua di sentimenti sconvolgenti per un ragazzo della sua età: rabbia, bisogno di sfogarsi, frustrazione, bisogno di rivalsa dopo ogni scommessa persa, la paura e l’ansia divorante, la solitudine, l’isolamento da tutto e da tutti. Come in trance, una giocata dopo l’altra, gesti compulsivi, sconsiderati, folli. Un bisogno a cui non si riesce a resistere, come una droga, che ti divora dall’interno, che ti devasta, non solo economicamente ma soprattutto spiritualmente, il senso di colpa e il vuoto che ti lascia.

Come camminare su un filo teso sopra un abisso, sospeso tra la paura di cadere e la paura di non potere fare nemmeno un passo indietro.

Ho iniziato a giocare per noia e per soldi

A 17 anni Emanuele cercava solo un modo per riempire i vuoti tra scuola, lavoro e sport. Una schedina da 5 euro, una partita, una scossa. Poi un’altra, e un’altra ancora. Prima il brivido, poi il bisogno. Il gioco d’azzardo è diventato il filo sottile su cui cammina ogni giorno, sospeso tra l’adrenalina e il vuoto. Come si finisce intrappolati in questo meccanismo? E soprattutto: come se ne esce?